Solo 400 Sillabe, ma Significati Infiniti: La Fonetica del Cinese Mandarino.
- Stefano Rastelli
- 2 apr
- Tempo di lettura: 2 min
La fonetica del cinese è un universo affascinante fatto di poche sillabe, ma di una complessità sorprendente. I toni giocano un ruolo fondamentale, e la tendenza alla bisillabicità ha dato origine a evoluzioni linguistiche uniche.
Per chi impara il cinese – e per chi insegna l’italiano ai cinesi – comprendere questi meccanismi è la chiave per prevedere e superare le principali difficoltà legate alla fonetica.
Il repertorio fonetico della lingua cinese è tra i più ridotti al mondo: conta circa 400 sillabe, a fronte delle oltre 2000 combinazioni dell’italiano. Questa caratteristica ha portato a due conseguenze fondamentali:
l’uso dei toni, che distinguono parole altrimenti identiche,
la preferenza per parole bisillabiche, piuttosto che monosillabiche.

Il ruolo cruciale dei toni
Il cinese mandarino è una lingua tonale, il che significa che il tono di una parola è essenziale per il suo significato. Un esempio classico è la sillaba "ma":
Mā (mamma) → primo tono
Mǎ (cavallo) → terzo tono
Per un madrelingua italiano, abituato a usare i toni solo per l’intonazione della frase, questa distinzione può risultare complessa.
Non è raro, ad esempio, che uno studente italiano che si avvicina allo studio della lingua cinese dica accidentalmente "il mio cavallo" invece di "mia madre", perché tende a mantenere la prosodia della propria lingua.
Allo stesso modo, quando un madrelingua cinese impara l’italiano, può essere fortemente influenzato dall’intonazione con cui sente pronunciare le parole.
In alcuni casi, se una parola italiana viene pronunciata con un'intonazione diversa da quella a cui è abituato, potrebbe persino non riconoscerla.
Parole monosillabiche e bisillabiche
Il mandarino conta quattro toni principali più un tono neutro, e le parole sono per lo più bisillabiche. Le poche parole monosillabiche tendono a essere di uso frequente, come verbi servili o parole legate alla vita quotidiana, ad esempio "mangiare" e "bere".
Nel tempo, il cinese ha sviluppato diversi modi per trasformare le parole monosillabiche in bisillabiche. Uno dei più interessanti è il cosiddetto "oggetto interno al verbo".
Si tratta di verbi composti da una prima sillaba che rappresenta l’azione e una seconda sillaba che indica l’oggetto più comune di quell’azione.
Ad esempio:
"Chàng gē" (唱歌) → "cantare", letteralmente "cantare + canzone".
"Chī fàn" (吃饭) → "mangiare", letteralmente "mangiare + riso cotto".
In quest’ultimo caso, "fàn" (饭), che significa originariamente "riso cotto", ha perso il suo significato specifico ed è diventato una "parola vuota". Questo fenomeno è noto in linguistica come "grammaticalizzazione".
Ma allora, se "chī fàn" significa semplicemente "mangiare", come si fa a dire "ho mangiato del riso"?
Si utilizza la versione bisillabica della parola "riso", ovvero "mǐ fàn" (米饭), dove "mǐ" significa anch’esso "riso".
Questa strategia, in cui due caratteri con significati simili vengono accoppiati, è un altro metodo usato dal cinese per rendere le parole bisillabiche, al fine di evitare ambiguità.
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