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Evitare la traduzione? Un approccio sbagliatissimo

"negare la lingua del bambino è come negare il bambino stesso"

J. Cummins.



Nell'ambito della (glotto)didattica c'è una tendenza a rinnegare gli approcci precedenti e condannarne tutte le pratiche in modo indiscriminato, è successa la stessa cosa con l'uso o meno della traduzione, fino a qualche anno fa era evitata e sconsigliata per poi essere riabilitata come tecnica didattica indispensabile.


Mi è successo di parlare a bassa voce con gli studenti nella loro lingua proprio per evitare di discutere con gli insegnanti "anti- traduzione", che purtroppo ancora sono presenti. 


Questi insegnanti pensano che in questo modo lo studente non si focalizzi sull'italiano, secondo un approccio monolingue.


Evitare la traduzione è, come abbiamo visto, una pratica controproducente perché lo studente straniero, soprattutto agli inizi, se non avrà a disposizione la traduzione di una parola o di una frase, proverà a cercarla lui stesso (come è normale che sia) senza un feedback chiaro. 


Un esempio esplicativo dei risultati dell’evitamento della traduzione è quel che è successo a un mio studente:


lui è sempre stato convinto che la parola "intervallo" significasse "pane", proprio perché nessuno gli aveva mai spiegato esplicitamente la differenza o permesso di cercare la parola su un dizionario o un traduttore: in quella scuola si voleva attuare un approccio più "naturale di esposizione alla lingua italiana" (parole della dirigente scolastica).

 
 
 

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